fare il possibile per non esporre un lavoratore ad un rischio mortale, quali che siano le prescrizioni di legge, deve essere per prima cosa un impegno civico.

Quello dell’esistenza o meno di un obbligo di verifica della messa a terra all’interno degli edifici condominiali è uno tra i tanti argomenti controversi della materia condominiale: anche in questo caso ci si trova a dover fare i conti con questioni di enorme importanza lasciate prive della necessaria base normativa, che viene come di consueto colmata dalla giurisprudenza.

Partiamo con una necessaria precisazione: l’obbligo non viene esplicitamente specificato dalla legge. In un Paese ideale, l’assenza di una precisa indicazione normativa significherebbe l’assenza del relativo obbligo, senza sé e senza ma. Purtroppo però è necessario scavare più a fondo, in particolare vagliando le note che il Ministero delle Attività Produttive ha emesso per dare risposta ai quesiti posti da alcuni organismi di attestazione. In particolare nelle note prot. 10723 e prot. 19561 del 2005, viene sancito che il condominio si configura come luogo di lavoroogni qual volta sia comunque individuabile un ambiente di lavoro e quindi anche quando non si sia in presenza di rapporto di lavoro dipendente strictu sensu [..]“. Come logica conseguenza di ciò emerge che la responsabilità in caso di incidenti riconducibili a malfunzionamenti dell’impianto elettrico sarebbe in capo al condominio ed al proprio legale rappresentante, ovvero l’amministratore, che avrebbe come unico strumento di difesa il dimostrare di aver fatto quanto possibile per prevenire l’insorgenza del problema.

Cosa significa “dimostrare di aver fatto quanto possibile”? Nel caso specifico, una certificazione rilasciata da un ente abilitato che dimostri l’avvenuta verifica dell’impianto di terra, potrebbe fornire una prova liberatoria di grande spessore.
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 [esempio di verbale di verifica da parte di ente abilitato]

 

Come già anticipato, uno sguardo alla giurisprudenza è sempre d’aiuto in caso di difficoltà, perchè permette – al di là di quanto leggi, regolamenti e pareri possano indicare – di osservare come, davanti ad un caso concreto, altri giudici si sono espressi. Nel caso in specie possiamo pescare direttamente dalla più autorevole fonte giurisprudenziale, ovvero la Corte di Cassazione (Penale), che con la sentenza n. 11504 dell’11 marzo 2004 condannava l’amministratore di un condominio (assieme al produttore di una saldatrice) a seguito dell’infortunio mortale occorso al custode di un fabbricato. Nelle motivazioni della sentenza si legge chiaramente che tra i profili di colpa riconosciuti all’amministratore vi era anche la “mancata predisposizione nell’impianto elettrico dell’edificio di un collegamento di terra con la saldatrice nonché omessa installazione di un interruttore differenziale” che, per analogia, potrebbe essere assimilata alla presenza di un impianto di terra non funzionante o comunque con valori non rientranti nei parametri di legge.

Se l’orientamento giurisprudenziale è quindi quello di condannare chi non è in grado di dimostrare di aver fatto quanto possibile per tenere in sicurezza il luogo di lavoro, ambiente condominiale incluso, possiamo sostenere senza tema di smentita che la mancanza di controllo sull’impianto è un rischio al quale difficilmente l’amministratore accorto esporrà i condomini da sé amministrati. Salvo, ovviamente, che l’assemblea non si opponga.

Ricordiamoci infine che – pur non sottovalutandone l’importanza – l’aspetto di responsabilità di fronte ai magistrati non dovrebbe essere l’unico motore per spingere le nostre azioni: fare il possibile per non esporre un lavoratore ad un rischio mortale, quali che siano le prescrizioni di legge, deve essere per prima cosa un impegno civico.

 

FP